Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 28 settembre 2010

Sul domani della Fraternità di S. Pio X. Una lettera di Mons. Gherardini

Durante un amichevole incontro, alcuni amici m’han chiesto quale potrebb’esser il domani della Fraternità S. Pio X, a conclusione dei colloqui in atto fra la medesima e la Santa Sede. Ne abbiam parlato a lungo ed i pareri eran discordi. Per questo esprimo il mio anche per iscritto, nella speranza – se non è presunzione e Dio me ne guardi! - che possa giovare non solo agli amici, ma anche alle parti dialoganti.

Rilevo anzitutto che nessuno è profeta né figlio di profeti. Il futuro è nelle mani di Dio. Qualche volta è possibile preordinarlo, almeno in parte; in altre, ci sfugge del tutto. Bisogna inoltre dare atto alle due parti, finalmente all’opera per una soluzione dell’ormai annoso problema dei “lefebvriani”, che fin ad oggi han lodevolmente ed esemplarmente mantenuto il dovuto silenzio sui loro colloqui. Tale silenzio, però, non aiuta a preveder i possibili sviluppi.

Di “voci”, peraltro, se ne sentono; e non poche. Quale sia il loro fondamento è un indovinello. Prenderò dunque in esame qualcuno dei pareri espressi nell’occasione predetta e dirò poi articolatamente il mio.
  1. Ci fu chi giudicava positivo un recente invito ad “uscire dal bunker nel quale s’è asserragliata durante il postconcilio per difendere la Fede dagli attacchi del neomodernismo”. Fu facile rilevare la difficoltà d’un giudizio a tale riguardo. Che la Fraternità sia stata per alcuni decenni nel bunker è evidente; purtroppo c’è ancora. Non è invece evidente se vi sia entrata da sé, o se vi sia stata da qualcuno, o dagli avvenimenti sospinta. A me pare che, se proprio vogliamo parlare di bunker, sia stato Mons. Lefebvre ad imprigionarvi la sua Fraternità quel 30 giugno 1988, quando, dopo due richiami ufficiali ed una formale ammonizione perché recedesse dal progettato atto “scismatico”, ordinò vescovi quattro dei suoi sacerdoti. Fu, quello, il bunker non dello scisma formalmente inteso, perché pur essendo “rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice” (CJC 751/2), mancò il dolo e l’intenzione di crear un’anti-chiesa, fu anzi determinato dall’amore alla Chiesa e da una sorta di “necessità” incombente per la continuità della genuina Tradizione cattolica, seriamente compromessa dal neomodernismo postconciliare. Ma bunker fu: quello d’una disobbedienza ai limiti della sfida, del vicolo chiuso e senza prospettive d’un possibile sbocco. Non quello della salvaguardia di valori compromessi.

    E’ difficile capire in che senso, “per difendere la Fede dagli attacchi del neomodernismo”, fosse proprio necessario “asserragliarsi in un bunker”. Vale a dire: lasciar libero il passo all’irrompere dell’eresia modernista. E di fatto il passo fu ininterrottamente contrastato. Se pur in una posizione di condanna canonica, e quindi fuori dai ranghi dell’ufficialità ma con la consapevolezza di lavorare per Cristo e per la sua Chiesa, una santa cattolica apostolica e romana, la Fraternità attese anzitutto alla formazione del clero, questo essendo il suo compito specifico, fondò e diresse seminari, promosse e sostenne dibattiti teologici talvolta d’alto profilo, pubblicò libri di rilevante valore ecclesiologico, dette conto di sé mediante fogli d’informazione interna ed esterna: il tutto allo scoperto, dimostrando di quale forza – lasciata purtroppo ai margini - la Chiesa potrebbe avvalersi per la sua finalità d’universale evangelizzazione. Che gli effetti dell’attiva presenza lefebvriana possan esser giudicati modesti o che di fatto non sian molto appariscenti, può dipender da due ragioni:

    • dalla condizione canonicamente abnorme in cui opera,
    • e dalle sue dimensioni; si sa che la mosca tira il calcio che può.

    Ma io son profondamente convinto che proprio per questo si dovrebbe ringraziare la Fraternità la quale, in un contesto di secolarizzazione ormai ai margini d’un’era post-cristiana, ed anche di non dissimulata antipatia verso di essa, ha tenuto e tiene ben alta la fiaccola della Fede e della Tradizione.
  2. Nell’occasione richiamata all’inizio, qualcuno riferì d’una conferenza durante la quale la Fraternità fu invitata ad aver maggior fiducia nel mondo ecclesiale contemporaneo, ricorrendo se necessario a qualche compromesso, perché la “salus animarum” esige – l’avrebbe detto un lefefbvriano – che si corra anche questo rischio. Sì, ma non certamente il rischio di “compromettere” la propria e l’altrui eterna salvezza.

    E’ probabile che le parole tradiscan le intenzioni. O che non si conosca il valore delle parole. Se c’è una cosa che, in materia di Fede, è doveroso evitare, è il compromesso. E il richiamarsi della Fraternità – così come d’ogni autentico seguace di Cristo - al “Sì sì, no no” di Mt 5,37 (Giac 5,12) è l’unica risposta alla prospettiva del compromesso. Il testo citato continua dicendo: “tutto il resto vien dal maligno”: dunque anche e segnatamente il compromesso. Almeno nella sua accezione di rinunzia ai propri principi morali ed alle proprie ragioni di vita.

    A dir il vero, anche a me, da quando i colloqui tra Santa Sede e Fraternità ebbero inizio, era arrivata la voce d’un possibile compromesso. Cioè d’un comportamento indegno, dal quale la stessa Santa Sede immagino che rifugga per prima. Un compromesso su quanto non impegna la confessione dell’autentica Fede, è possibile e talvolta plausibile; non lo è mai ai danni dei valori non negoziabili. Sarebbe oltretutto una contraddizione in termini, perché anche il compromesso è un “negotium”. Ed un negozio a rischio: il naufragio della Fede. Mi ripugna, pertanto, il solo pensare che la Santa Sede lo proponga o l’accetti: otterrebbe molto meno d’un piatto di lenticchie e s’addosserebbe la responsabilità d’un illecito gravissimo. Mi ripugna del pari il pensiero d’una Fraternità che, dop’aver fatto della Fede senza sconti la bandiera della sua stessa esistenza, scivoli sulla buccia di banana del rifiuto della sua stessa ragion d’essere.

    Aggiungo che, a giudicare da qualche indizio forse non del tutto infondato, la metodologia messa bilateralmente in atto non sembra aprire grandi prospettive. E’ la metodologia del punto contro punto: Vaticano II sì, Vaticano II no, o sì se. Cioè a condizione che dall’una o dall’altra parte, o da ambedue, s’abbassi la guardia. Una resa a discrezione? Per la Fraternità il mettersi nelle mani della Chiesa sarebbe l’unico comportamento veramente cristiano, se non ci fosse la ragione per cui nacque e per cui dette vita al suo Aventino. Cioè quel Vaticano II che, specie con alcuni dei suoi documenti sta letteralmente all’opposto di ciò in cui essa crede e per cui opera. Con tale metodologia, non s’intravede una via di mezzo: o la capitolazione, o il compromesso.

    Un esito così esiziale potrebb’esser evitato seguendo una metodologia diversa. Il “punctum dolens” di tutt’il contenzioso si chiama Tradizione. Ad essa è costante il richiamo dell’una e dell’altra parte, che peraltro hanno, della Tradizione, un concetto nettamente alternativo. Papa Wojtyla dichiarò ufficialmente “incompleta e contraddittoria” la Tradizione difesa dalla Fraternità. Si dovrebbe pertanto dimostrar il perché dell’incompletezza e della contraddittorietà, ma ancor più impellente è la necessità che le parti addivengano ad un concetto comune, ossia bilateralmente condiviso. Un tale concetto diventa allora il famoso pettine al quale arrivan tutt’i problemi. Non c’è problema teologico e di vita ecclesiale che non abbia nel detto concetto la sua soluzione. Se, dunque, si continua a dialogare mantenendo, l’una e l’altra parte, il proprio punto di partenza, o si darà vita ad un dialogo fra sordi, o, per dimostrare che non si è dialogato invano, si darà libero accesso al compromesso. Soprattutto se accettasse la tesi dei “contrasti apparenti” perché determinati non da dissensi di carattere dogmatico, ma dalle sempre nuove interpretazioni dei fatti storici, la Fraternità dichiarerebbe la sua fine, miseramente sostituendo la sua Tradizione, ch’è quella apostolica, con la vaporosa ed inconsistente e disomogenea Tradizione vivente dei neomodernisti.
  3. Un’ultima questione trattammo nel nostro amichevole incontro, esprimendo più speranze che previsioni concretamente fondate: il futuro della Fraternità. In argomento è sceso pure, recentemente, il sito “cordialiter blogspot.com” con un’idilliaca anticipazione del roseo domani che già arriderebbe alla Fraternità: un nuovo – nuovo? per ora, non ne ha mai avuto uno – “status” canonico, inizio della fine del modernismo, priorati presi d’assalto dai fedeli, Fraternità trasformata in “superdiocesi autonoma”. Anch’io mi riprometto molto dalla sperata composizione per la quale si sta lavorando, ma con i piedi un po’ più per terra. Tento d’acuire lo sguardo e di vedere che cosa potrebbe domani accadere. Lo specifico della Fraternità, l’ho già ricordato, è la preparazione al sacerdozio e la cura delle vocazioni sacerdotali. Non dovrebbe aprirsi per essa un campo diverso da quello dei Seminari, questo essendo il suo vero campo di battaglia: propri e non propri, nei Seminari assai più che altrove o più che altrimenti potrebbero esprimersi la natura e le finalità della Fraternità.

    Sotto quale profilo canonico? Non è facile prevederlo. Mi pare, comunque, che l’esser una Fraternità sacerdotale dovrebbe suggerirne l’assetto canonico in una forma di “Società Sacerdotale”, sotto il supremo governo della Congregazione “per gl’Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica”. Inoltre, l’aver essa già quattro Vescovi potrebbe suggerire, come soluzione, una “Praelatura” di cui la Santa Sede, al momento opportuno, potrà precisare l’esatta configurazione giuridica. Non mi sembra questo, tuttavia, il problema principale. Più importante è, senza dubbio, sia la composizione all’interno della Chiesa d’un contenzioso poco comprensibile nel tempo del dialogo con tutti, sia la liberalizzazione d’una forza compatta attorno all’idea e all’ideale della Tradizione, perché possa operare non dal bunker ma alla luce del sole e com’espressione viva ed autentica della Chiesa.
27 sett. 2010
Brunero Gherardini

12 commenti:

Anonimo ha detto...

sarebbe magnifico se la soluzione proposta da mons. Gherardini potesse arrivare sulla scrivania del Papa!

Observer ha detto...

Non soltanto i cattolici della Fraternità di S. Pio X, ma vari teologi non “tradizionalisti” in senso stretto, oltre a Mons Gherardini, hanno constatato che gli errori e le ambiguità si trovano nella lettera dei Documenti conciliari e non solo nella interpretazione o spirito del Concilio, datane da alcuni teologi ultra progressisti (Küng, Schillebeeckx, Rahner e Metz).

In tempi meno recenti Romano Amerio.

Più recentemente, oltre a mons. Gherardini col suo libro: "Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare", il Vescovo di Albenga, mons. Mario Oliveri, in un articolo su “Studi Cattolici” (giugno 2009) ammette chiaramente che la lettera del Vaticano II contiene errori teologici, ma che ciò non intacca l’infallibilità del Papa e l’indefettibilità della Chiesa, poiché Giovanni XXIII e Paolo VI hanno espresso apertamente la loro intenzione che il Concilio Vaticano II non fosse dogmatico e quindi infallibilmente assistito, ma soltanto pastorale e quindi senza alcuna voluntas definiendi, che è conditio sine qua non per l’esercizio della infallibilità.

Perciò il cattolico non è obbligato ad accettare le ‘novità’ del Vaticano II e può restare perfettamente cattolico, senza correre verso lo scisma.

Sua Eccellenza Oliveri è Vescovo titolare di una Diocesi italiana e non ha ricevuto alcun monitum per quanto ha scritto e neppure nessuna accusa di spirito scismatico.

Anonimo ha detto...

Grazie Observer!

A proposito del libro di mons Gherardini, ricordo che esso contiene anche la rispettosa Supplica da lui rivolta al Papa per risolvere con Autorità le ormai evidenti discrepanze

Anonimo ha detto...

Così scrive Dante Pastorelli su Messainlatino. In genere lo condivido in tutto e ammiro la sua profonda e limpida condivisione.
La sua affermazione è realista; ma speriamo nel Signore:

io credo che le posizioni del Papa e di mons. Gherardini siano effettivamente diverse. Mai il Papa accetterà quanto l'anziano ed illustre teologo, ultimo epigono della eccelsa scuola romana, propone nei suoi testi sull'argomento: altrimenti avrebbe risposto alla famosa supplica. Il Papa conitinuerà ad affermar che il Vaticano II è magistero - e lo è - ma mai riconoscerà che nella sua pastoralità possa nei suoi documenti non esser esente da errori ed ambiguità.
Da qui il timore di compromessi che non gioverebbero alla Fraternità perché svilirebbero la sua giusta battaglia per la difesa della vera Tradizione e della vera dottrina, ma neppure a Roma che non troverebbe altra occasione per dissipar i dubbi sul vero significato di Tradizione Vivente e sul valore del Concilio, continuando a lasciar i fedeli nelle ombre del dubbio.

Philos ha detto...

sono davvero così diverse le posizione del Papa e di Mons. Gherardini?

Anonimo ha detto...

non siamo nella 'mens' del Papa; ma dobbiamo pensare che sia intenzionato a portare a compimento la situazione canonica della Fraternità.

Quanto a mons. Gheradini, i suoi contributi agevolano non solo i dialoghi tra la FSSPX e la Santa Sede, ma mettono anche un argine alla turbolenza di alcune frange di fedeli della fraternità che si mostrano più intransignenti nei confronti della "Roma conciliare".

Mons. Gherardini invita invece a rinsaldare quella corrispondenza d'amorosi sensi che unisce tutti i cattolici al loro Santo Padre e suggerisce, con limpida saggezza, una possibile via d'uscita che tragga fuori dalle possibili paludi di un ristagno pericoloso e dannoso per la Chiesa tutta...

metaraf ha detto...

LEGGENDA TURCA
("aTTENZIONE! Forse qualcuno, leggendo queste note, mi accuserà di mischaire
sacro e profano. Perdonatemi)
C'era una volta, in un remoto paesello dell'Anatolia, un bel giovane alto,
aitante e forte. Il lavoro nei campi, ne aveva scolpito il fisico, ben più
di come farebbe una palestra.
Il nostro robusto e bel giovane, aveva un sogno. Gli avevano detto che le
donne più belle del mondo, vivevano nell'harem dell'imperatore. E lui decise
che sarebbe penetrato in esso. Per prima cosa, pensò:_ andiamo a vivere a
Costantinopoli. E così fece. Ogni momento libero, lo trascorreva nei
paraggi del Palazzo, in attesa dell'occasione propizia. Un giorno,
l'occasione si verificò. Vide il gran visir, assalito da dei briganti.
Intervenne e li mandò via in malo modo. Il visir non la finiva mai di
prostarsi ai piedi del suo salvatore! Ripetè più e più volte: che qualsiasi
suo desiderio, per lui sarebbe stato un ordine, fiosse pure la metà del suo
stipendio. Il giovane chiese di poter mettere visitare l'harem
dell'imperatore. Il visir gli rispose che si poteva fare, però, che
avrebbe dovuto fare un grosso sacrificio. IL giovane, tanto abbagliato da
miraggio, che si stava realizzando, non pensò neppure di chiedere di quale
sacrificio si sarebbe trattato.
Una sera, il gran visir, gli aprì una porticina secondaria, ed il nostro
Adone entrò. Come ebbe fatto pochi passi, il gran visir suonò un fischietto.
Subito apparve un signore obeso, che andò a suonare un gong. Al suono del
gong, si materalizzarono, come per magia, 0tto giganteschi, nerboruti,
schiavi negri.Gli saltarono addosso, e lo evirano. Da quel momento, il
Nostro giovane, dovette essere obbligato a "vivere" come le altre "voci
bianche" dell'harem. Trascorreva le sue giornate, in mezzo a bellezze di
tutto l'impero (turche, arabe, curde, armene, georgiane, circasse, egiziane,
negre, siriane, caldee, etc.), ed anche di altri luoghi, ma a quale scopo?

Anonimo ha detto...

Per Metaraf:

il tuo racconto metaforico è eloquente ed in effetti, nella conclusione:

Trascorreva le sue giornate, in mezzo a bellezze di tutto l'impero (turche, arabe, curde, armene, georgiane, circasse, egiziane, negre, siriane, caldee, etc.), ed anche di altri luoghi, ma a quale scopo?

non è difficile identificare la situazione della Chiesa di oggi, il cui volto è pesantemente sfigurato da 'presenze' di ogni dove...

Mi faccio e ti faccio una domanda:
se non mancano molti fedeli, come noi, che si stanno seriamente interrogando e cercano di rimanere fedeli al Signore nonostante le poche striminzite oasi di autentico cattolicesimo e nonostante le presenze di cui parli, non pensi che -con l'imprescindibile aiuto dello Spirito Santo che l'ha accompagnata fin qui- la Fraternità potrebbe essere un antidoto potente e valido proprio per quelle presenze inquinanti?

Ovviamente non con una soluzione semplicistica o scendendo a compromessi; ma secondo quanto adombrato da mons. Gherardini, ad esempio.

Lo credi possibile?

Anonimo ha detto...

il Nostro giovane, dovette essere obbligato a "vivere" come le altre "voci bianche" dell'harem...

se le "voci bianche" possono essere assimilate agli Istituti Ecclesia Dei (ho troppa fantasia?), che assicurano l'autentico culto a Dio, ma non portano avanti una pastorale corrispondente avendo la "bocca chiusa" sulle ambiguità conciliari e le storture conseguenti, non credi che la FSSPX abbia un diverso spessore e una diversa esperienza pastorale, che potrebbe essere non solo mantenuta, ma anche incrementarsi sotto il manto potente della nostra Madre Santa e Benedetta?

Soprattutto se non dovesse dipendere in alcun modo da vescovi che non esito a definire scismatici, anche se nessuno lo dice?

metaraf ha detto...

Temo che, se anche avvenisse ciò che mi sembra di leggere tra le righe della proposta GHERARDINI, ovvero che alla FSSPX sia affidata la cura dei seminari (e non ci vedo proprio, i vescovi disposti a perdere tale ruolo), possa comportare l'affievolirsi dei contatti con i fedeli.

metaraf ha detto...

Carissimo,
se non ho capito male (sono un gran tontolone, e forse il Signore mi sopporta non molto sveglio, affinchè, tale mio limite, o forse è un'identità,mi faccia da antemurale contro il peccato)
mi sembra che mons.GHERARDINI suggerisca di affidare alla FSSPX la cura dei seminari.
Ebbene:
a)io, i vescovi, non li vedo proprio, disposti a farsi scippare i seminari, se non altro per l'aspetto economico del problema;
b) rovescio della medaglia: se ciò comparta la perdita (o, quanto meno, l'affievolirsi) dei rapporti con i fedeli, non che, con il tempo, il tutto si risolve in un'arma a doppio taglio?

Anonimo ha detto...

Ti ringrazio per i chiarimenti e le interessanti e realistiche riflessioni

Non credo che un rientro canonico della Fraternità dovrebbe risolversi nell'affidamento ad essa di TUTTI i seminari.

Basterebbe che essa potesse dedicarsi a quella dei propri, con qualche incremento in alcune diocesi, che sono certa continuerebbero ad avere ulteriori massicce adesioni: soltanto io conosco almeno 10 aspiranti sacerdoti che rifiutano contesti di formazione che si rivelano modernisti e sono da anni in attesa di trovare in Italia una formazione cattolica

Questo significherebbe un importante inizio per risolvere a monte il GRANDE problema della formazione sacerdotale (oso solo accennare poi all'ordinazione, ma non vado oltre) che oggi è purtroppo modernista, quando non è deviata (vedi neocatecumenali e loro semminari).....

tutto sta in una parola: "esclusivamente"....

Poiché (in quanto Sacerdotale e per la cura e le premure che Mons. Lefebvre dedicava giustamente a questo) già la Fraternità è sorta anche per garantire che la formazione dei sacerdoti rimanesse "cattolica", ciò non dovrebbe impedirle di continuare ad amministrare i Sacramenti e quindi di occuparsi anche della 'cura d'anime', come già fa...

Inoltre, se questo fosse affidato ad una soluzione canonica non dipendente dai vescovi, il tutto potrebbe funzionare nonostante il malcontento dei vescovi, che comunque per una causa del genere andrebbe affrontato...

Pensi che sia solo ottimismo o Speranza cristiana?